Giacomo Torno nacque secondogenito della famiglia nel 1539 (oppure nel 1541) a Napoli, dall’avvocato Giovan Antonio Torno e Laura Follera. Da giovane studiò lettere e giurisprudenza e all’età di 18 anni, nonostante la forte opposizione del padre, entrò a far parte dei Chierici Regolari Teatini in San Paolo Maggiore e fu accolto il 30 ottobre 1558 dal superiore, il beato Giovanni Marinoni, già precedentemente suo confessore. Il 24 febbraio 1560 Giacomo fece la professione solenne nella basilica di San Paolo Maggiore e al successivo 20 aprile fu mandato a Roma presso la casa teatina di San Silvestro al Quirinale, dove prese gli ordini minori e il suddiaconato. Ritornò a Napoli per motivi di salute nel 1567, lo stesso anno in cui ricevette l’ordinazione diaconale e nel 1568 quella sacerdotale, sempre presso la Casa di San Paolo Maggiore. Durante tutta la sua vita fu un grande esempio di umiltà, frequentemente domandava per sé le più vili incombenze della casa, come ad esempio portare l’acqua giornalmente per lavare i vasi da notte, gettar via l’immondizia, pulire la chiesa dagli escrementi dei cani. Non ambì mai ad assumere alcuna dignità o incarico nell’Ordine Teatino, rifiutando sempre di intervenire durante i capitoli e preferendo il silenzio e la preghiera per evitare di giudicare i propri confratelli. Nonostante la naturale propensione alla caparbietà, il Servo di Dio era descritto da tutti come il Teatino più affabile, specchio di mansuetudine e di pazienza, difatti non gli uscì mai di bocca una parola aspra e né mai si abbandonò ad un gesto offensivo. Fu esempio magistrale di obbedienza, non osò mai fare alcunché senza il permesso del suo confessore oppure del superiore, ricordiamo come esempio che prima di rattoppare una calza o di spostare una figura di carta da un luogo ad un altro della sua cella, era sempre solito chiedere il permesso, e mantenendo costantemente tale costume anche nella vecchiaia. Giacomo Torno obbediva non solo ai superiori e ai confessori, ma anche ai confratelli e ai chierici più giovani della comunità, oltre che ai fratelli laici, aiutando quest’ultimi a svolgere le faccende più umili. Il Servo di Dio si dimostrava sempre pronto, senza mai sottrarsi alle richieste che gli venivano rivolte, divenendo in questo modo un chiaro esempio non solo dell’obbedienza, ma anche della disponibilità. Ebbe come proprio incarico quello di controllare le ostie per la Santa Messa, pulire tutte le sacre suppellettili, lavare la biancheria della sagrestia, oltre ad avere la cura di tutte l’arredo della chiesa. Svolse questo incarico con dedizione, edificando non solo i giovani chierici, ma anche tanti laici, che ammiravano la chiesa di San Paolo Maggiore per la splendida pulizia e la straordinaria accuratezza. Giacomo Torno lottò continuamente contro se stesso, le sue passioni e i suoi desideri. Veniva denominato dai confratelli come «amico del coro della cella». Fu espertissimo dei casi di coscienza e delle rubriche del breviario, per cui i superiori gli imponevano la cura e la guida del coro, il quale ufficio esercitò per molti anni. Alcuni confratelli attestarono che il Servo di Dio, nel recitare i salmi, era assorto, in uno stato di contemplazione e con il volto alterato dall’estasi. Fu un esempio edificante di preghiera non solo per i novizi, i quali lo vedevano sempre presente e puntuale nel coro, ma anche per i confratelli e i fedeli laici, i quali ammiravano la sua pietà e la sua devozione. Quantunque Giacomo Torno abbia sofferto tutta la vita a causa di varie malattie che lo provarono nel fisico, non mostrò mai di soffrire. Pur avendo un forte carattere – come dicevano i contemporanei, la «natura del dragone» – non lo fece mai trasparire, offrendo costantemente esempi di carità e di umiltà, di pazienza e di misericordia. P. D. Valerio Pagano C.R., il contemporaneo del Servo di Dio, dichiarò: «acciò meglio si esercitasse nella virtù de la pazienza, il Signore permise che [Giacomo Torno] fosse tribolato crudelmente dai demoni, i quali gli apparivano di notte e di giorno, dandogli ogni tribolazione possibile, e anche crudeli battiture. E molte volte io stesso, che abitavo vicino alla sua cella, ero chiamato da esso con gran fretta percuotendo il muro che era fra le nostre celle, e in modo tale mi sollecitava, che avevo appena il tempo di gettarmi sopra la veste, e correvo con prestezza da lui, né mai mi volle dire cosa alcuna, salvo dirmi “Per carità state un poco meco, e abbiate pazienza dell’incomodo”. E quando ero stato un poco, mi diceva “Andatevi a riposare”, ringraziandomi molto, e domandandomi perdono per l’incomodo che mi aveva dato. Ma dopo si è saputo dai suoi confessori, che lui chiamava per avere aiuto, e per potersi difendere maggiormente dai demoni». Tale dichiarazione lascia intravedere la grande intuizione del Servo di Dio, il quale capì che uno dei miglior modi e mezzi per scacciare i demoni dalla propria vita era la presenza dei confratelli. Perciò, senza nessuna reticenza, bisognerebbe definire Giacomo Torno come l’Apostolo della vita comunitaria. Inoltre, Giacomo Torno fu uno dei confessori di Sant’Andrea Avellino, e lo assistette in punto di morte. Studiò assiduamente le Sacre Scritture, e si confessò tutti i giorni. Fu considerato già in vita dai propri confratelli come un santo. Il Servo di Dio morì santamente a Napoli il 18 gennaio 1609 in San Paolo Maggiore, dove fino ad oggi riposa il suo corpo incorrotto. Già nel 1611, pochi anni dopo della sua morte, fu avviato il ‘processo informativo’ presso la chiesa di San Paolo Maggiore. Era venerato con il titolo del Beato per acclamazione popolare dei Napoletani. Invece nel XIX sec. il cavaliere Andrea Torno Aldana (1813-1898) fece una cassa di cristallo per collocarvi il corpo incorrotto del Servo di Dio agevolando in tal modo i fedeli, i quali chiedevano di aprire di volta in volta la cassa di legno, dove veniva conservato il Venerabile. Il 23 maggio 2020 il cardinale Crescenzio Sepe ha autorizzato la riapertura del processo di beatificazione del Venerabile Giacomo Torno.
Autore: P. Aleksander Iwaszczonek C.R.